Il gioco senza fine

E poi credi di avercela fatta, di aver superato tutto e di averlo rinchiuso in un archivio, fiera di esserci riuscita in così breve tempo!

Invece, qualcuno o qualcosa tirandoti per i capelli ti riporta violentemente al punto di partenza; sei costretta a giocare di nuovo, a tirare moltissime altre volte il dado nella speranza di un tiro sfacciatamente fortunato…

Un treno…

17.45… 17.51… questo maledetto tempo non passa mai 17.57… Stava seduta sulla banchina del binario numero 2, era sola in quella minuscola stazione immersa nel buio e nel silenzio, già nessun rumore poiché c’era un unico binario in funzione e di treni ne passava solo uno ogni ora e tre quarti.

Il freddo le aveva fatto arrossare le guance, a nulla era valso lo sforzo di farle sprofondare il più possibile nella morbida pelliccia del colletto… Tirò su la manica del cappotto per l’ennesima volta, 18.03, incredibile l’orologio non aveva la minima intenzione di far girare le lancette che erano decisamente troppo lente.

Per scrupolo lanciò uno sguardo alla sua sinistra, quasi sopra alla sua testa sembrava reggersi nel nulla un grande orologio, illuminato per poco più della metà della luce del lampione, strizzò gli occhi perché quel fascio giallognolo la colpiva direttamente in volto… 18.00 che idea stupida! Questo è addirittura in anticipo!

Smise di far oscillare il piede che, nonostante quasi un quarto d’ora di attività, non si era minimamente scaldato; adesso il suo nervosismo si riversava sulle esili dita che face schioccare una ad una e poi sulle punte di una ciocca di capelli. Le piaceva essere in anticipo, ma forse era arrivata fin troppo presto…

Circa due ore prima infatti era già davanti al grande specchio della toeletta, ancora senza vestiti, mentre con fare attento sceglieva tra i trucchi che, poco prima, aveva svuotato con un sol gesto sopra al pianale di legno. Pensava al colore più adatto che avrebbe potuto mettere sugli occhi, quello più idoneo da mettere sulle labbra e se dovesse accentuare o meno il neo vicino all’angolo della bocca. Alla fine scelse solo di marcare le sue ciglia lunghissime con del mascara. Mise molta attenzione durante quell’operazione che catturava tutta la sua concentrazione, tanto da farle dischiudere le labbra ad ogni passata del piccolo pennello.

Si guardò bene, prima muovendo leggermente il capo verso destra poi verso sinistra, prese in mano un piccolo ago e scrupolosamente divise le ciglia che si erano insolentemente unite durante il precedente lavoro. Si specchiò ancora mentre i denti della spazzola solcavano i suoi capelli per l’ultima volta, soddisfatta decise di applicare un rossetto, rosso come il suo bel vestito.

Finite le delicate manovre controllò l’ora, era ancora abbastanza presto ma comunque non c’era da perder tempo, sistemò i belletti nel grazioso port-necessaire e si  sedette sul letto dove pazientemente incominciò ad infilare i collant. Poi indugiò qualche secondo nel sistemarsi l’abito, adorava la sensazione che provava nello sfiorare il morbido velluto, poi il ticchettio la riportò alla realtà… doveva sbrigarsi.

Mise il cappotto stando attenta a chiudere bene in vita la cintura di tela e pelle, prese la borsetta e la sua trousse, non le mancava altro, controllò due volte se avesse spento tutte le luci ed uscì.

18.17 è in ritardo, sembra quasi che non debba arrivare mai, ma arriverà certo… ora picchiettava le unghie sul freddo ferro e cercava in lontananza una qualche luce, moderava il respiro per sentire ogni minimo suono.

Eccolo! Finalmente allo stridere delle rotaie si accompagnava la fredda luce di quei due enormi fanali, si alzò velocemente e si diresse verso la linea gialla, appena le porte furono aperte non aspettò un secondo a salire.

Anche il treno era vuoto, virò subito verso il centro della carrozza scegliendo il posto che dava sul finestrino e che assecondava il senso di marcia. Era piacevole vedere le case, gli alberi e i campi che si succedevano velocemente confondendo i loro contorni, era piacevole anche la sera quando le sagome scure erano di tanto in tanto repentinamente accese da alte luminarie.

La sua attenzione poi volse verso le unghie smaltate, le osservò attentamente, nessuno sbaffo; poi i suoi occhi scivolarono ancora, verso le sue scarpe anch’esse senza pecca. Appoggiò la fronte al gelido finestrino e ne approfittò per controllare nel riflesso del vetro, in controluce, se i suoi capelli fossero ancora delineati nella piega originaria, anche qui non si potevano trovare anomalie; sospirò lievemente e lasciò che i contorni ora luminosi ora nerissimi che vedeva le imprigionassero la mente improvvisamente vuota.

Si, riconosceva questi paesaggi, sicuramente doveva mancare poco all’arrivo, il cuore cominciava a battere più forte i grandi occhi all’improvviso s’illuminarono, mancava poco, molto poco.

L’insegna ben illuminata con il nome della città le stava dicendo che il transito stava per concludersi, si mise in piedi e prima di raggiungere la porta dette un ultimo sguardo al suo posto, non aveva lasciato nulla… sapeva di non aver aperto né la borsa né il port-necessaire, ma è sempre meglio controllare.

Eccola l’uscita della stazione, nella strada un gran transito, si voltò verso il corridoio vuoto come per esser sicura di esser arrivata, arrivata nel posto giusto; poi sorrise immergendosi nel chiarore di una luce, inspirò profondamente chiudendo per un attimo gli occhi e con un sorriso ancora più grande con un passo superò il marciapiede.